SALA DEL CAPITOLO
La sala del Capitolo è considerata l’ambiente più importante dopo la chiesa nei monasteri benedettini. Destinata alla quotidiana lettura comunitaria di un capitolo della Regola di San Benedetto, brevemente commentato dall’abate, questa sala è il luogo dove ogni giorno i frati si accusano spontaneamente dalle inosservanze della Regola che hanno compiuto e chiedono scusa ai confratelli. Nella sala capitolare si svolgono anche le riunioni dei monaci per affrontare questioni importanti riguardanti il monastero

Nel 1470 Battista e Domenico Spinola finanziarono la costruzione della sala capitolare del Boschetto, come attesta magnificamente la lapide scultorea a lunetta, posta sopra l’attuale porta verso il chiostro, che in origine era una finestra, in quanto il chiostro maggiore venne edificato solo a partire dal 1493. La lapide raffigura la Vergine con il bambino tra i Santi Nicola vescovo e Benedetto abate e l’epigrafe sottostante recita:
     
“Il celeberrimo cittadino Battista Spinola, notabile della città, e l’illustra fratello Domenico, figli del defunto Giorgio, , insigni per provata nobiltà, fecero costruire questa sala capitolare con donazione spontanea, spinti da pia devozione verso il Cenobio e l’Ordine Benedettino, 16 luglio 1470
      


La sala venne in seguito integralmente rinnovata nel 1758, a spese dei monaci, conseguentemente alle devastazioni compiute nell’abbazia dagli Austriaci che la occuparono i dintorni della città nella primavera del 1747. Il comandante delle truppe della val Polcevera si stabilì nel monastero, costringendo i monaci a fuggire, portando con sé ciò che poterono dell’archivio e degli oggetti preziosi dell’abbazia. Una iscrizione sulle pareti decorate della sala recita: “quello che è stato preservato dalla barbara distruzione fatta dai Tedeschi durante il crudele assedio della città, l’Abate e i Monaci arricchivano e ornavano con una cappella, le pitture e i sedili nell’anno del Signore 1758”. L’assedio fu distruttivo: ambienti come la biblioteca furono talmente danneggiati da non essere più ricostruiti. Sopra la targa, non a caso, il giovane abate Timoteo Bossi genovese, volle associare la raffigurazione del patrono degli affogati, San Placido, uno dei monaci più vicini a San Benedetto, ritratto mentre salva dalla piena del fiume il confratello Mauro dopo aver camminato sulle acque, in un episodio miracoloso narrato da San Gregorio Magno nei suoi Dialoghi. Forse l’intenzione era anche quella di ricordare la rovinosa quanto repentina piena del Polcevera che nel settembre 1746 annegò e trascinò a mare oltre seicento soldati austriaci che si erano accampati nel greto del torrente in secca

Con il rifacimento settecentesco l’originaria sala capitolare fu quindi arricchita di una cappella, detta “Cappella dell’abate”, quando con questo termine si indicavano gli altari. Si trattava in realtà di altarino retrattile sulla parete settentrionale, sparito nel 1960, unitamente ai sedili citati nell’epigrafe. La ristrutturazione comportò anche la modifica dell’accesso al Capitolo che, originariamente, avveniva dalla cappella di Santa Caterina Fieschi Adorno, la prima sacrestia della chiesa fatta costruire da Gerolamo Lercari nel 1426 e poi ampliata dal figlio Luciano nel 1485, che venne in seguito intitolata all’inizio del Cinquecento alla Santa genovese, devota al monastero, dove si recava spesso a pregare e dove avrebbe voluto essere sepolta, come si legge in entrambi i suoi testamenti, cosa che però non avvenne.

Tornando alle decorazioni della sala, incorniciate da quadrature roccocò, sulla parete meridionale, all’interno di una riquadratura-sipario svelata dietro una tenda, è raffigurata la vanità del mondo, attraverso l’immagine simbolica del pappagallo sulla balaustra. Forse un richiamo all’Imitazione di Cristo, trattato religioso del XV secolo, di autore anonimo, che invita l’uomo a seguire l’esempio di Cristo accettando le sofferenze della vita, attraverso le virtù dell’umiltà e dell’obbedienza e rifuggendo la vanità del mondo (“Vanità di vanità, tutto il mondo è vanità, fuorché amar Dio e servire Lui solo”). Sul soffitto della volta, spicca una candida colomba che emana luce nell’azzurro di un cielo, simbolo della pace spirituale..

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