CAPPELLA DELLA BEATA MARIA VERGINE detta CAPPELLA DELLA MADONNA
Unica delle cappelle ad aver conservato praticamente intatto l’apparato decorativo originale, questa cappella venne fondata nel 1455 per volere dei fratelli Brancaleone e Antoniotto Grillo, che ne assunsero il patronato. Costruita trasformando un vano preesistente, probabilmente destinato alla sacrestia della chiesa grimaldina, la cappella doveva avere caratteristiche architettoniche del tutto differenti rispetto a quelle attuali, frutto della totale ristrutturazione operata dal Giambattista Lercari quando, nel 1547 subentrò ai Grillo nel patronato per realizzare nella cappella della Vergine il proprio mausoleo.

La cappella, posta alla medesima quota della chiesa trecentesca e dell’adiacente cappella di San Benedetto, è separata dall’antistante chiesa quattrocentesca da una transenna marmorea coronata dalle statue del Cristo crocefisso, tra la Madonna e San Giovanni. Questa cancellata venne probabilmente aggiunta agli inizi del Seicento, in concomitanza con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni ecclesiastiche che vietavano i cibori nelle sacrestie. Per questo motivo dovette rendersi necessario il trasferimento del ciborio della sacrestia di Andrea Doria nella cappella della Madonna, che divenne Cappella del Sacramento, come dimostrerebbero i bassorilievi a tema eucaristico che decorano i basamenti delle colonne del portale.
La pavimentazione in ardesia con tozzetti di marmo della cappella, probabilmente quella originale del restauro Lercari di metà Cinquecento per la similitudine con i pavimenti più diffusi dei palazzi nobiliari di quel periodo, reca al centro la bocca di tomba del mausoleo.
Il ciclo affrescato della cappella, commissionato da Giambattista Lercari nel 1568, è stato attribuito alla bottega dei fratelli Calvi, composta da Lazzaro, discepolo di Perin del Vaga, dal fratello Pantaleo e dai quattro figli di lui. L’ipotesi è sostenuta per la concomitanza dell’opera dei Calvi nel palazzo di Franco Lercari, cugino di Giambattista e da aspetti di similitudine.

Il soffitto affrescato, voltato a botte con teste di padiglione, presenta nelle lunette perimetrali la narrazione della vita di Maria. Procedendo in senso orario, si trovano: nelle lunette meridionali lo Sposalizio della Vergine e il dubbio di Giuseppe, in quelle occidentali la visita a Santa Elisabetta e la Natività, in quelle settentrionali, sopra l’altare, l’Epifania e la fuga in Egitto. Le due lunette orientali ospitano le due finestre centinate.
Al centro della volta è raffigurata la creazione, mentre gli spicchi delle vele riportano le figure bibliche dei patriarchi Noè e Abramo e dei profeti d’Israele Isaia e Geremia. A incuriosire l’osservatore, l’iniziale rovesciata del nome di Noè, riportato nell’iscrizione accanto alla mano.
Sulle pareti laterali della cappella sono raffigurati, uno di fronte all’altro, i monumenti funebri di Giambattista e del figlio Lorenzo Lercari, motivo abbastanza raro in ambito genovese, ma che si trova molto simile nella cappella Lercari in cattedrale.
Sulla parete sinistra della cappella è murata l’epigrafe di Giambattista Lercari, dalla quale emerge la personalità retta e fiera del Doge, uomo di straordinarie qualità diplomatiche, vissuto in un periodo di transizione molto importante per la Repubblica, che resistette all’invidia degli avversari, anche nell’immane tragedia familiare della morte del figlio Stefano:

“Giovanni Battista Lercari, figlio di Stefano, all’età di 22 anni creato console della nazione a Palermo , rinnovò i privilegi dei genovesi derivanti dai trattati estinguendo la marca (tassa a carico degli stranieri) dell’uno per cento. Andato a Napoli, coadiuvò così bene nel governo dell’imperatore Carlo V e il vicerè Don Pietro di Toledo, da acquisire per se stesso il soprannome di vicerè. Tornato in patria dopo aver svolto con somma lode diverse magistrature, all’età di 58 anni fatto Doge, governò la Repubblica con somma fede, giustizia e grandezza d’animo. Dando soddisfazione all’imperatore Ferdinando (Ferdinando I d’Asburgo), liberò la città dai facinorosi e proibì le armi. Furono curate le provviste annonarie ed estinti i debiti della Repubblica con l’estero. Furono approvate le spese della seconda guerra corsa senza aggravio di tasse. Ma ahimè, non sfuggì al morso degli invidiosi che, con poca riconoscenza per le sue fatiche, cercarono di oscurare la sua fama che peraltro le imprese e i pubblici ministeri rendono ancora più illustre. Nel 1575 egli e gli altri delegati, a Genova, Finale e Casale, sedarono con perseveranza e zelo le discordie civili. In grazia di ciò gli fu offerta dagli illustrissimi arbitri una dignità, che egli con animo costante rifiutò, giurando che tanti travagli aveva sopportato solo per la gloria di Dio, la liberà della Repubblica e la concordia dei cittadini. Fu poi mandato dalla Repubblica presso Filippo re delle Spagne (Filippo II) per gravi questioni, indi, tornato in patria, fu ininterrottamente impegnato in affari pubblici e magistrature. Colui che mai riposò, qui riposando aspetterà il giudizio di Dio”
Questa lapide fu probabilmente commissionata dalla figlia Pellina, unica erede alla morte del padre avvenuta nel 1592, la quale farà seppellire il genitore in questa tomba rispettando le sue disposizioni testamentarie.

Sulla parete opposta della cappella, si trova l’epitaffio di Stefano:

“Giovanni Stefano Lercari, giovane di eccezionale speranza, conte palatino, cortigiano di Massimiliano II (Asburgo) insignito di particolari privilegi imperiali, all’età di 26 anni, non senza grande lutto dei buoni, cessò di vivere. Per volere del padre Giovanni Battista fu sepolto nella tomba di questa cappella da lui restaurata, così che uniti nel sepolcro, aspettino il giorno del giudizio divino, lui insieme con la madre Maria Imperiale e il fratello Giovanni Gerolamo, quando anch’essi avranno lasciato questa vita.  Essi, insieme al fratello e Mariola (Maria Giustiniani), genitori del predetto Giovanni Battista, beneficeranno di tutti i suffragi e le elemosine, avendo così decretato i reverendi monaci di questo cenobio. In riconoscenza della beneficienza ricevuta, obbligandosi ad offrire per loro una messa quotidiana, a compiere un ufficio di suffragio tutti i venerdì e a celebrare solennemente il giorno della commemorazione dei morti. Come gli atti di Paolo Gerolamo Bargoni, in data 28 settembre 1586.
                                HO RAGGIONTO IL PORTO,
ADDIO SPERANZA E FORTUNA, NON HO PIU’ NIENTE DA SPARTIRE CON VOI,
                              ADESSO INGANNATE GLI ALTRI
Stefano attentò alla vita di colui che credeva il principale accusatore del padre e, per questo, venne condannato a morte
La tomba della cappella, la cui bocca di trova al centro della pavimentazione in marmo e ardesia, ospitò in seguito anche Giambattista Spinola, primo Duca di San Pietro e nipote del Doge, che venne qui sepolto nel 1634, come rivela l’epigrafe posta a fianco di quella del nonno.
“Dio ottimo massimo, qui è sepolto Giovanni Battista Spinola che, insigne per la grandezza della virtù, al di sopra della stessa antica nobiltà di stirpe, fu da Filippo re delle Spagne nominato Duca di San Pietro nel Salento. La Patria dapprima lo prepose a una flotta di triremi, poi lo designò ambasciatore alla corte imperiale. Alle prime avvisaglie di una terribile guerra fu mandato ambasciatore a Filippo IV, nella Spagna a lui ben nota, perché facesse uso della sua prudenza e delle sue risorse finanziarie. Infine chi la morte prematura sottrasse ai sommi onori, brilla con più elevata fortuna per la rispecchiata virtù, nell’anno della salute 1634. La moglie Maria Spinola al coniuge carissimo, il figlio Giovanni Maria all’ottimo padre fecero”

La cappella della Vergine fu trasmessa per via ereditaria da Pellina Lercari al figlio Giambattista Spinola, il quale decise di trasferire dalla chiesa di San Nicolò a quella di Santa Maria della Pace i 15 luoghi di San Pietro per la manutenzione, disposti annualmente dal nonno Doge Lercari, forse risentito per la mancata osservazione da parte dei cenobiti delle disposizioni testamentarie di Giambattista Lercari riguardanti le messe di suffragio per i propri congiunti. Del resto è noto e documentato che in taluni periodi il numero dei suffragi ordinati dai benefattori del Boschetto crebbe a tal punto da risultare impossibile per i sacerdoti del monastero adempiere al compito, come dimostra un decreto del Capitolo Generale della Congregazione benedettina del 1469, con il quale il compito delle messe veniva condiviso con altri monasteri.

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