CAPPELLA DI SAN BENEDETTO – già CAPPELLA DI SAN NICOLA
Osservando un costume gentilizio locale molto comune all’epoca, nel 1311 Magnone Grimaldi, eseguendo le ultime volontà del fratello Tommaso, fece costruire questa cappella, che volle intitolare a San Nicola vescovo di Bari in memoria del padre Nicolò. Stanziò inoltre 90 lire genovine all’anno per il mantenimento di due sacerdoti e un chierico, in cambio del diritto di esercizio del patronato. Il fondo di Cornigliano non venne scelto a caso da Magnone, infatti, già dal XIII secolo, le colline della bassa Valpolcevera, ospitavano le residenze estive di molte tra le più importanti nobili famiglie genovesi, oltre che per l’amenità del luogo, anche per il ruolo strategico che ricopriva in difesa del centro urbano
La cappella, caratterizzata da un’unica navata, era in origine sensibilmente più alta di come la vediamo, ma le volte vennero rifatte ad abbassate nel 1445, ad opera di Luciano Grimaldi. Terminata con un abside semicircolare, chiuso nel Settecento e oggi apprezzabile solo dall’esterno, la cappella era illuminata da una doppia coppia di bifore sormontate da oculi circolari, che ancora s’intravedono sulla parete interna occidentale, che furono trasformate nel Seicento nelle finestre attuali.
Le due volte a crociera del soffitto, con costoloni a rilievo, spiccano da peducci in pietra nera di Promontorio, che caratterizza anche le chiavi di volta a medaglione, scolpite e dipinte, che recano le figure della Madonna con bambino e San Giuseppe, chiavi che si ritrovano del tutto simili nel refettorio Quattrocentesco. Degli affreschi che decoravano pareti e soffitti emergono tracce in corrispondenza dei costoloni della volta. Il presbiterio, il cui gradino è risolto con la decorazione gotica in bianco e nero alternato di derivazione pisana, ha conservato la pavimentazione, probabilmente originaria, in laggioni (quadrelle di ceramica smaltata) bianchi e verdi. Il pavimento in ardesia della cappella non è quello originario, ma probabilmente molto simile ad esso.
Il fascino di questa cappella è sicuramente arricchito dall’unicità scultorea della lastra tombale di Paolo Doria fu Ceva, commissionata dallo stesso nel 1474
Il La lapide marmorea si compone di un riquadro centrale e di una cornice, in testa della quale è posta l’epigrafe, non originale. Nel riquadro sette putti alati, disposti simmetricamente sorreggono la ghirlanda con lo stemma abraso con cimiero e aquila. Nella cornice cordonata, da una maschera leonina si dipartono due tralci di vite che si svolgono in girali con grappoli e pampini, questi ultimi curiosamente risolti con sette lobi in luogo dei cinque di natura. Nella cornice due tralci di vite partono da una maschera leonina e si svolgono in girali con grappoli e pampini. Ai quattro angoli altrettanti putti musici. La scultura di altissimo pregio è stata attribuita ai fratelli Gagini o alla loro scuola ed, in particolare, a Michele D’Aria.
Va evidenziato che questa tomba, come molte altre nella chiesa, non si trova nella sua collocazione originaria. La tomba fu trasferita in questo sito quando, nella prima metà del Seicento, i Doria subentrarono ai Grimaldi nel patronato della cappella, a seguito del loro trasferimento nella cappella maggiore, dove troviamo i cenotafi.
Sullo stesso tono, di chiaro gusto rinascimentale, è il decoro dell’alzata del gradino dell’altare, probabile residuo del rifacimento Quattrocentesco della cappella, secondo alcuni in stile lombardo con residui gotici, per altri di ispirazione toscana.
Infine, l’altare fu eretto nel 1705 da Ambrogio Doria, lontano discendente ed erede di Paolo Doria, come si legge nell’iscrizione del gradino nella mensa.
Mineralogicamente classificabile nei Calcari marnosi del monte Antola, più compatta e lucidabile dell’ardesia e più facile da lavorare a scalpello, la Pietra nera di Promontorio trovò un larghissimo impiego nella decorazione degli edifici genovesi, già a partire dal XIII secolo, per la realizzazione di architravi, peducci di volta, capitelli, bassorilievi, finemente cesellati e lavorati a lima.
Certamente già attive dal XII secolo, le profonde gallerie dell’antica cava maggiore furono riportate alla luce da uno smottamento spontaneo del terreno nel 1891 nella zona di Promontorio San Benigno, a nord-ovest di villa Rosazza, dopo essere state chiuse nel 1629 per il timore che potessero diventare un sicuro nascondiglio per rivoltosi e nemici della Repubblica. Nelle gallerie fu rinvenuta, oltre ad una moltitudine di attrezzi, una epigrafe datata 1519 e solo parzialmente leggibile, che commemorava probabilmente la visita alla cava da parte del Cardinale Nicolò Fieschi il 22 luglio di quell’anno.